Ho partecipato con piacere alla conferenza stampa di presentazione e di pre inaugurazione della Biennale di Architettura di Venezia che è sempre un appuntamento di eccellenza italiana, confermatasi anche quest’anno tale. La Biennale tuttavia non è più una mostra di solo architettura ma sembra assomigliare più ad una mostra di arte contemporanea e di installazioni. Non si pensa solo all’innovazione ma ai concetti e alle iniziative estemporanee, come evidenziato anche sul Giornale dal critico Angelo Crespi. La mostra rischia di essere un interrogativo, senza risposta e senza proposte, al dibattito posto dalla curatrice Lokko, peraltro di adozione inglese, secondo quelli, ad esempio, che sono gli indirizzi di Leon Krier, architetto e rappresentante della corrente del neourbanesimo e che vede nel linguaggio contemporaneo degli architetti la necessità di sviluppare una architettura contemporanea ma con stilemi classici e con materiali sostenibili.
Se da un lato, come dice il Presidente Cicutto, è nello stile della Biennale dall’altro rischia di rappresentare un diorama dell’architettura nazionale e internazionale non fedele alla grande varietà di eccellenze che fanno dell’architettura e della rigenerazione urbana un elemento di forza. Bisogna pensare nell’ottica della agenda Mattei, con un Governo favorevole allo sviluppo dell’Africa, che è uno dei sotto-temi della rassegna. Anche il caso dei visti ghanesi non è un problema del governo italiano ma d’applicazione delle leggi che regolano l’entrata di persone straniere nell’area Schengen, anzi proprio da noi parte lo scambio positivo tra le nazioni africane e quella italiana. Ci auguriamo inoltre che l‘Italia possa avere, con la sua secolare tradizione di architetti, un ruolo strategico di sviluppo.
Quello che prevale da un punto di vista di stilemi architettonici, è una non-architettura, per cui si sovrappongono, ad architetture definite colonialiste di epoca razionalista e modernista energivora, modelli nomadi con l’uso di materiali effimeri come il fango e materiali di scarto. Ci lascia perplessi anche il Padiglione italiano: fermo restando l’entusiasmo dei giovani curatori, ci sembra singolare che non mostri quella che è l’eccellenza italiana nella capacità creativa, costruttiva, e ricostruttiva della rigenerazione urbana. Il padiglione italiano è una serie di azioni di riuso di spazi urbani o di relitti urbani, invece che proporre, come già si realizzano, esempi di rigenerazione urbana che possano trasformare e cancellare il degrado nell’area soprattutto del Sud Italia. Fermo restando l’efficienza e il prestigio della manifestazione, sempre ben gestita dall’organizzazione della Biennale e a cui faccio i miei complimenti, rimane comunque un grande interrogativo sul tema e su come è stata realizzata.