Per comprendere le diverse posizioni nell’attuale dibattito sulla funzione del Colosseo rilanciato dal Ministro Franceschini e dall’Architetto Malacorda occorre fare mille e più passi indietro per riscoprire, sommariamente, la storia del monumento più famoso e al tempo stesso sconosciuto del mondo e dei suoi molteplici riusi. Da questa breve ricostruzione, necessariamente non accademica, emergono chiaramente le due visioni: una per il riuso dei monumenti e l’altra, quella oggi prevalente, che vede ogni monumento o resto archeologico come una struttura stratificata da restaurare e visitare ma non da riusare.
A rileggere le alterne vicende del Colosseo c’è da rimanerne stupefatti. Usato per cinque secoli ininterrotti per i giochi gladiatori, l’anfiteatro dei Cesari o il “Teatro della caccia” come veniva chiamato, subì molte devastazioni. Un primo incendio, ai tempi di Antonino Pio che lo restaurò parzialmente, poi un fulmine nel 217 incendiò per giorni e distrusse l’arena in legno trasformandolo in un enorme braciere per giorni. Riaprì 30 anni dopo con restauri pessimi ad opera di Alessandro Severo e poi Gordiano III. Nel 262 un altro terremoto violentissimo, all’epoca di Gallieno, colpì anche Roma e il Colosseo.
Dalla fine dell’uso come arena in cui si sacrificavano fiere e i martiri cristiani- in particolare con Decio e Triboniano Gallo- e si celebrava la coesione e l’identità di Roma, fino al 404 con l’Imperatore Teodosio che vietò definitivamente i giochi gladiatori sopravvissuti nonostante le disposizioni di Costantino nel 325. Dal 408, per un biennio, ci pensarono i Visigoti di Alarico ad assediare Roma e a costringere i romani ad usare il Colosseo come luogo di sepoltura per centinaia di tombe non potendo più seppellirle fuori città com’era uso comune. Le ultime sepolture furono addirittura scoperte nel 1895.
Con il sacco dei Visigoti Roma divenne una città spettrale con 100.000 abitanti. A seguito di quell’invasione il Colosseo degradò, i suoi apparati fognari vennero distrutti e la struttura cadde in degrado.
I terremoti che seguirono nel 429, nel 443 e nel 470 si alternano con ripetuti interventi di restauro che comprendono sempre anche l’arena. Ne abbiamo la testimonianza e il ricordo attraverso un’iscrizione di Lampadius che, meravigliosamente, era incisa su una lapide con un’iscrizione a lettere bronzee ormai disperse che ci documentarono, nel 1995, come l’Anfiteatro fosse stato costruito con il bottino di guerra del Tempio di Gerusalemme. Nel 470, dopo il terremoto, fu il Praefectus Urbi Decius Marius Venantius Basilius che restaurò l’anfiteatro compresa l’arena. E così avvenne di nuovo con il senatore Atanasius, ad Impero d’occidente ormai caduto- che rialzò a sue spese il piano calpestabile dell’arena interrando i resti. A seguito di due ulteriori violenti terremoti che provocheranno il crollo di altre parti, gli ipogei verranno quindi interrati fino agli scavi moderni per 1300 anni.
Durante l’impero di Teodorico iniziò la spoliazione che caratterizzerà tutto il Medio evo e il Rinascimento fino ai tempi moderni.E fu proprio la spoliazione, insieme agli incendi e ai terremoti a stravolgere le funzioni dell’Anfiteatro. Con Papa Gregorio Magno, infatti, viene data all’Arciconfraternita di Santa Maria Nova la licenza per vendere il marmo e i materiali e usare il Colosseo come cava. In più venne aperta una strada che attraversava proprio l’arena e collegava la valle del Colosseo con il Rione Celio. Le fogne ormai erano abbandonate e sommerse molte colonne e arcate cadute e sotterrate e l’Arciconfraternita permise l’uso residenziale (sic) negli archi dell’anfiteatro. Ci abitavano, per lo più, operai e cambiavalute.
Nel 1096 i normanni si accamparono proprio nella valle tra il Colosseo e il laterano e misero a sacco la città ormai ridotta a poche migliaia di anime. Il Colosseo era fuori della città medievale che si attestava intorno al fiume e per cui venne lasciato decadere e degradare. Nel Medioevo le famiglie romane dei Frangipane e degli Annibaldi si contesero l’anfiteatro e addirittura il palazzo costruito su due piani chiudendo gli archi. Con il ritorno alla Chiesa nel 1381 il monumento diventa da un lato cava di materiali e dall’altro residenza per operai e luogo di culto.
Altri due violenti terremoti nel 1281 e nel 1349 fecero crollare le arcate dell’anfiteatro, come testimonia anche una lettera di Francesco Petrarca e questo accentuò la funzione di cava, la coxa colisei, fino al XVIII secolo.
Nel Medioevo si perse la memoria della funzione del Colosseo. Si narrava dell’anfiteatro come di un tempio rotondo con una cupola in rame. Divenne anche il centro mitopoietico di superstizioni che lo videro come luogo infernale dove si aggiravano lupi e strane creature. Questo lo si doveva al fatto che, a seguito dei violenti terremoti e il crollo di intere arcate ricoperte dalla terra, l’Anfiteatro era semi sommerso e in alcuni punti selvatico.
Nel 1381 il Colosseo venne assegnato in parte alla confraternita del Santissimo Salvatore ad Sancta Santorum detta del Gonfalone che, considerandolo il luogo del martirio dei cristiani mise in scena, dal 1490 fino al 1539, la passione di Cristo con la partecipazione di migliaia di romani.
La chiesa con i diversi Papi attraverso le sue arciconfraternite sfruttò a tal punto i materiali del Colosseo per scopi redditizi che i più importanti e prestigiosi palazzi romani furono costruiti con elementi e materie prime dell’anfiteatro: Palazzo Farnese, Palazzo Barberini, Palazzo Venezia, San Pietro, la Scala Santa e tanti altri edifici. I documenti dimostrano tra gli acquirenti abituali i Frangipane, gli Orsini e i Colonna.
La contraddizione maggiore fu che a parole i Papi del Rinascimento vollero rifarsi alla grandezza della Roma imperiale e nei fatti ne depredarono i resti. Nel 1452/54, in soli due anni, per la costruzione di chiese, edifici e per la piazza e il loggiato delle benedizioni di San Pietro venne autorizzato tale Giovanni Foglia da Como a trasportare 2552 carri di materiale.
Il sogno di Papa Niccolò V di ricostruire Roma dando a Leon Battista Alberti il compito di teorizzare una nuova architettura con il De Re Aedificatoria si affermò solo in parte ma alimentò la visione umanistica della Rinascenza e dei suoi ideali. In quegli anni si compirono i primi scavi archeologici dell’anfiteatro e dei suoi ipogei che poi verranno ripresi solo in epoca moderna. I Papi che erano anche sovrani temporali furono diretti responsabili dell’asportazione dei materiali e di riusi improbabili come quello di Sisto V che ci voleva realizzare un filatoio, mentre Clemente XI si raggiunse l’estremo: l’anfiteatro divenne una fabbrica di salnitro che significava allestire un deposito di letame per una vicina fabbrica di polvere da sparo. Lo stesso Papa fece installare una croce nell’arena e costruire le edicole della Via Crucis che poi vennero abbattute nel 1803 durante l’occupazione francese per poi essere reinstallate nel 1815 e distrutte definitivamente nel 1874 con i piemontesi. Per poi essere ricostruite successivamente e, quindi, definitivamente eliminate.
Per il Giubileo del 1750 vennero restaurati gli archi del piano terra e Benedetto XIV consacrò il Colosseo, addirittura, come chiesa pubblica e fondò l’Arciconfraternita degli amanti di Gesù e Maria. Lo spettacolo della Via Crucis è un altro degli usi storici dell’arena che ha lasciato traccia nelle testimonianze e nei dipinti dei contemporanei. Via Crucis che venne smantellata con Roma capitale nonostante la grande opposizione della Chiesa di Roma.
Con la dominazione francese il Colosseo doveva entrare a far parte di un grande parco archeologico seguendo la visione imperiale di Napoleone che ben prima di Mussolini evocò il sillogismo con la Roma antica. Ma fu con Carlo Fea nel 1805 che cominciò una vera e propria campagna di scavi per restaurare l’anfiteatro e da questa iniziativa si comincia, con alterne vicende e interventi fino in epoca contemporanea, a considerare il bene archeologico come luogo da conservare e visitare nella sua lettura stratigrafica. Fea dovette interrompere i lavori di scavo degli ipogei per via della falda acquifera che li aveva allagati. Con il ritorno dell’autoirtà papale fu Luigi Maria Valadier, figlio di Giuseppe, a riprendere gli scavi e ad intervenire sull’arena e sugli ipogei prima di ricoprire e reinstallare il terreno battuto per ripristinare la Via Crucis.
Con Roma capitale nel 1874 si intervenne nuovamente sull’arena scavando gli ipogei e scoprendo il pavimento di mattoni e quello di legno che oggi è stato parzialmente ricostruito. Durante il fascismo abbiamo un altro riuso del monumento per le manifestazioni di massa e le cerimonie andando in coerenza con l’uso di monumento di propaganda sempre rappresentato dall’anfiteatro.
Il paradosso fu che proprio durante il regime, nel 1938, vennero scavati gli ipogei rendendo inutilizzabile l’arena da Luigi Cozzo, in contraddizione con il resto degli scavi di via dei Fori imperiali, all’epoca via dell’Impero che puntarono ad una convivenza tra antichità e funzionalità.
Arriviamo poi al contemporaneo con gli interventi degli anni ’90 per la pulizia di una parte degli archi ed oggi all’intervento di Della Valle per il restauro della facciata. Il dibattito si riaccende. Nonostante questi riusi, alcuni comprensibili, visti i tempi, altri inaccettabili il Colosseo rimase sempre centrale nella vita della città con brevi parentesi di abbandono che non impedirono di usarlo come centralità urbanistica.
Certo se i nostri antichi avessero avuto più cura del monumento, probabilmente oggi avremmo un anfiteatro completamente utilizzabile come a Verona e a Nimes. Ed è proprio qui il cuore del dibattito. Ora che abbiamo le tecnologie e la consapevolezza della stratigrafia archeologica del monumento che senso ha lasciare a vista lo “scheletro” dell’Anfiteatro invece di ricostruire un pavimento che lo renda riusabile per scopi nobili e culturalmente elevati ma comunque popolari?
La funzione per cui venne costruito il Colosseo era quello di luogo per il pubblico spettacolo. Che senso ha tenerlo scarnificato con strutture murarie e rovine incomprensibili e brutte a vedersi per i milioni di turisti che lo vengono a visitare? In realtà questo dibattito fa riemergere i due fronti trasversali e opposti. Da una parte chi vede l’archeologia come risorsa e riuso e chi la considera come lettura degli strati precedenti urbani e oggetto di studio, ma senza riuso e valorizzazione. Ai professori e archeologi cui va il nostro dovuto rispetto per il contributo che hanno dato alla conoscenza anche pubblica e fruibile e che oggi si scagliano contro l’intelligente proposta del Professor Manacorda ripresa dal Ministro Francheschini, non possiamo che ribadire la visione di luoghi monumentali e archeologici vivi e vissuti e, magari, messi a reddito.
Certo non pensiamo alla folle proposta di far giocare partite di calcio dentro all’arena del Colosseo, ma trasformarla in platea per l’estate lirica del Teatro dell’Opera o per grandi concerti di classica, teatro o anche musica contemporanea seppur con le dovute cautele acustiche, questo certamente sì.
Il Colosseo viva
In questo dibattito non esistono partiti politici se non quelli che si dividono tra la valorizzazione e la sussidiarietà rispetto al “feticismo” della pietra nuda e alla visita passiva e inconsapevole del turista. Noi siamo “iscritti” e militanti per esperienza personale di governo e per passione, sicuramente, alla prima fazione. Il Colosseo può trovare, pertanto, un nuovo uso, aumentare i turisti e ritornare ad essere il cuore vivo della Capitale della Storia e della bellezza quale Roma rappresenta. Il resto è archeologia.