Non passa giorno che non si parli del Teatro dell’Opera, ma la cosa singolare è che proprio gli esponenti di quella sinistra che fino a ieri ha governato Roma, si permettano di dare giudizi critici su quello che ci hanno lasciato in eredità. Mi vedo costretto quindi a rispondere alle accuse dell’ennesimo esponente dell’opposizione, che prima di parlare farebbe bene a riflettere. Mi riferisco a Francesco Rutelli, che come ex sindaco di Roma parla di “crisi nera” dell’Opera, e questo fa sorridere visto che fu proprio lui a nominare la gestione che ha provocato il deficit. Farebbe meglio a fare mea culpa per il modo in cui è stato gestito il teatro fino ad oggi rispetto alla discutibile politica culturale che lo ha caratterizzato, mortificando la produzione interna e la promozione esterna di questa preferendo, per logiche economiche poco nobili, produzioni estere e cantanti anche totalmente sconosciuti da oltre confine, invece di promuovere i nuovi talenti italiani, in cartelloni tradizionali seppur reinterpretati con gli occhi della contemporaneità. Sarebbe interessante poi, se qualcuno facesse i conti di quante produzioni classiche siano state vendute al mercato straniero, in particolare orientale, negli ultimi dieci anni, e quante invece se ne sarebbero potute piazzare. Credo e lo dico a ragion veduta, che questo conto possa essere in saldo negativo, e questo è uno dei fallimenti più clamorosi della gestione dell’Opera. Per quanto riguarda i paventati successi dell’Auditorium, invito l’attuale collega dell’opposizione Rutelli a non essere così sicuro dei dati che gli sono stati forniti, perchè presto potrebbe accorgersi di aver preso una cantonata clamorosa anche su quelli. E anche qui parlo a ragion veduta. Infine rispetto all’auspicio dell’ex sindaco sul fatto che la destra affermi i propri uomini nel mondo culturale, lo rassicuro ribadendo che a differenza sua e del suo successore, la destra ragiona secondo logiche meritocratiche e non certo come è stato fatto fino allo scorso anno, secondo logiche di appartenenza di partito, dove l’unico merito era quello di avere una tessera in tasca o peggio, appartenere a lobby ben precise.